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Vivere in mezzo alla strada non era una delle mie intenzioni quando stavo giù a San Severo, non era una delle mie intenzioni quando ho deciso di sposarmi, non era una delle mie intenzioni quando ho messo al mondo i miei due gli. Però la vita mi ha portato a fare delle scelte. Io sto a Milano dal 2011. Nel 2002 io e la mia famiglia eravamo andati a vivere a Porto San Giorgio, dove avevo trovato un lavoro: riempivo le bombole di gas. Per sei anni siamo stati bene poi nel 2008 ho avuto delle vicissitudini, è successo un gran casino e appena dopo aver aperto un mutuo ho perso il posto. Mia moglie ha preso i ragazzi, ha chiamato i genitori, che sono venuti a prenderla, ed è tornata a San Severo. Io sono potuto restare ancora qualche mese nel nostro appartamento in affitto perché il padrone di casa è stato gentile, ma poi per un po’ di mesi ho vissuto in macchina a Fermo, mangiando alla mensa dei poveri. Avevo fatto amicizia con i titolari di un bar, che era anche pasticceria e pizzeria e loro mi passavano le paste e le pizze che avanzavano. Io le paste le mettevo in un angolo ma le pizze le mangiavo una dietro l’altra. Ho iniziato ad aumentare di peso in maniera spropositata. Passavo le notti a mangiare, senza vergogna. Sono arrivato a pesare 145 chilogrammi. Grazie a degli assistenti sociali ho trovato qualche lavoretto e poi sono riuscito a passare le notti nei dormitori, meglio che in macchina. Nelle Marche però puoi stare una settimana o dieci giorni, poi devi andartene e la cosa alla lunga cominciava a essere stancante. Ho girato tutta la regione: Ancona, Porto San Paolo, Marostica, Senigallia. Lì ho conosciuto un ragazzo che aveva detto che a Milano c’erano alcuni dormitori dove puoi stare anche di più. “Proviamo ad andare a Milano a cercare fortuna”, ho pensato. Li ho girati tutti, i dormitori di Milano (e qualche branda l’ho pure rotta) ma il lavoro non l’ho trovato. In compenso ho trovato il mal di cuore e un ginocchio da buttare, sicuramente anche quello per via dei miei problemi di peso. Ho sempre qualcosa che non va, ho la borsa piena di medicine, cammino con la stampella e ho il singhiozzo almeno per dieci ore al giorno. Maledetto singhiozzo. Non vedo i miei figli da dieci anni (tranne una volta in cui ho visto la piccola per un paio d’ore a San Severo qualche anno fa, in occasione di un funerale). Non so cosa ha detto di me la loro madre. Dove sto, lo sanno. Lui ha ventuno anni e lei sedici. Devo dire che io non mi vedo che campo molto, a dire la verità. E poi dirò una cosa, che può far ridere ma è assolutamente seria: io vorrei tanto morire però ho paura di ammazzarmi. Che vita è la mia... Amici pochi, ma ce li ho. Si parla del presente e qualche volta del futuro, certamente del passato mai. Del San Carlo però un ricordo ce l’ho, anche se si sarà tutto arrugginito. Eccolo. È una medaglia ricordo che danno a chi fa più di nove donazioni in un anno, tra sangue e plasma. Io ne ho fatte quattro di sangue intero e cinque di plasma. Me l’hanno data nel 2016. Il San Carlo l’ho conosciuto perché la domenica andavo a mangiare dalle suore di Santa Maria Teresa, una volta c’era una festa e i chioschi, in uno si parlava di donazioni di sangue. Ho chiesto se era aperto a tutti, anche ai senzatetto, e mi hanno detto di sì. Io ero già donatore a San Severo dal 1998 ma avevo smesso dopo il trasferimento nelle Marche. Nel 2016 stavo in mezzo alla strada da molti anni, e non avevo niente se non dolori e scarse speranze, però ho pensato che in tutti questi anni ho sempre cercato aiuto, e spesso l’ho trovato, e in quella maniera, donando il sangue, cercavo di contraccambiare, anche se non alle stesse persone. Può sembrare una stronzata ma è la verità. Fare qualcosa per gli altri. Volevo contraccambiare, in qualche modo. Io mi sento a posto con il cuore, dal punto di vista emotivo, ora vediamo da quello fisico. 

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